mercoledì 16 settembre 2009

RIFLESSIONI SUI TRE CASI TRATTATI

Analizzando le narrazioni che ho raccolto, nella mia esperienza, appare un mondo di significati comprensibili solo attraverso un'ottica antropologica. Nel caso di Morenì, ascoltando attentamente il suo racconto, traspare come l'essere donna sia percepito dalla persona stessa e dalla comunità. La paziente arriva al“Centro de Saludaccompagnata dal fratello , l'intera comunità che ha lasciato i figli all'altro fratello per venire al consultorio sanitario, la sua condizione di donna abbandonata è cosa normale, il fatto di aver tanti figli è l'aver compiuto il suo ruolo. Infatti, il chiederle, se ha mai usato metodi di contraccezione, risulta offensivo:“Sono donna e devo dare figli a mio marito”. Inoltre viene definito come l'essere in salute risulti identificabile nel poter lavorare , nell'essere “in carne” cioè con qualche chilo in più, nel non avvertire dolori fisici. Mentre l'essere malati si identifica con la vecchiaia, con il dolore, con l'intolleranza ad alcuni cibi, con l'essere magro.Nel caso di Andres, invece, si evidenzia l'incapacità di comprendere cosa sia una malattia cronica come il diabete; malattia silente senza evidenti segni o dolori associati. Egli infatti manifesta l'incapacità di prendersi cura di sé stesso. Il medico è colui che lo deve curare, non gli interessa sapere tanto sulla malattia, né tanto meno sulla terapia. Il fatto che identifica l'essere indio con l'essere ignorante rappresenta ancora il retaggio dell'epoca coloniale dei “conquistadores” che, attraverso le armi della violenza, della religione, della cultura hanno introdotto il concetto di società primitiva distruggendo il tessuto sociale e culturale esistente. Quando Andres si riappropria del ruolo di protagonista, nel costruire la propria salute, cambia anche la sua narrazione si arricchisce di contenuti risulta più aperta al confronto perché arricchita di una nuova esperienza. Nel caso di Lourdes ciò che traspare, dalla sua narrazione, è il ruolo delle persone più anziane della comunità che risultano essere le detentrici di quel sapere tramandato che è il fondamento della cultura. Gli anziani sono rispettati come “coloro che sanno......”. Infatti ogni esperienza di cura, malattia e guarigione diventa, da esperienza del singolo, ad esperienza di un'intera comunità; esperienza condivisibile ma fortemente legata ad un contesto storico, sociale e culturale pertanto difficilmente modificabile.

Il caso di Lourdes


Giunge al “Centro de Salud” una mamma ed il suo bambino. Lourdes ha venticinque anni è madre di altri cinque figli ed il piccolo ha appena venti giorni. Il bimbo è chiaramente sotto peso, con difficoltà respiratorie ed il personale sanitario,valutando l'urgenza, vuole ricoverare il piccolo paziente, ma la mamma spaventata si oppone. Pertanto il medico cerca di spiegare alla madre la gravita' del caso poiché sospetta una meningite ed è necessario intervenire subito. Lourdes non capisce né la gravità, né il fatto che il suo bambino sia affetto da una malattia. Era venuta al centro medico per richiedere un farmaco che potesse far dormire il bimbo che, disperatamente, piangeva da alcuni giorni. Infatti afferma:”Il farmaco chimico è più potente del remedio giuggio che il curandero mi ha dato “.Poi inizia a raccontare che il bimbo ha l'ojeo cioè ha dolori forti alla testa, alla pancia e questo perché una persona, con spirito malvagio, ha visto il piccolo e lo ha contaminato con il suo male. Questo tipo di racconto, ancora oggi tramandato, nasce da una credenza degli indio guaranì. Essi erano convinti che uno spirito potesse rapire il bambino, appena nato, pertanto non ne festeggiavano la nascita, con espressioni manifeste di allegria, ma tutto era nel silenzio ed i volti dei parenti erano inespressivi, affinché il male non potesse essere attirato. Continuando Lourdes dice: “Ho fatto tutto quello che il curandero mi ha detto di fare: ho spalmato del grasso di maiale sulla testa del bambino fasciandola affinché non si deformi, ho coperto il suo ventre con carta di giornale bagnata con alcool, gli ho dato da bere i remedi , che mi ha preparato , ma so che il male se ne andrà ; il curandero saprà allontanarlo".Dalle sue parole si nota un forte rispetto e fede in una figura molto presente nelle comunità :il curandero. Egli ha poteri di allontanare gli spiriti ed i suoi rituali , secondo il racconto della mamma, sono in lingua guarani spesso formulati come nenie accompagnati dal segno della croce espressione tipica del cristianesimo. Vive isolato, lontano nella foresta e si crede che abbia patto con il dio Tupa il dio degli indio. Il credere, al potere soprannaturale del curandero, è nato in Lourdes ascoltando, sin da bambina, i racconti della madre, della nonna, delle persone più anziane della comunità, che narravano di inspiegabili guarigioni; persone malate quasi moribonde erano state sanate; ed ancora ferite sul corpo, profonde ed infette, attraverso l'applicazione di piante utilizzate, come medicazioni, in pochi giorni , si cicatrizzavano; ed infine persone paralizzate riprendere a muoversi. Il medico mi conferma questa forte credenza che spesso produce l'abbandono delle terapie prescritte o peggio il non ricercare alcuna cura e mi dice:“Secondo la mia esperienza è meglio non contraddire il paziente, negando il valore della cura, che il curandero gli offre, perché altrimenti si rischia di perdere il rapporto di fiducia con il paziente stesso, ed io, come medico, mi sentirei di non aver compiuto la mia missione”. Lourdes infatti non può comprendere la diagnosi presentata perché la causa della malattia del bimbo per lei non è virale ma ha un'altra categoria di rappresentazione. D'altra parte il medico non può intendere il mondo di significati, che sono propri della cultura di Lourdes, non ne ha gli strumenti ed il suo intervento riflette il proprio di mondo. L'intervento, in questo specifico caso, da parte dell'equipe sanitaria, è stato in primo luogo quello di convincere la madre nel ricoverare il bimbo al Centro e poi di accettare la terapia necessaria. Un' infermiera,in lingua guaranì, cerca di spiegare, alla madre, che il bimbo ha sì l'ojeo ma è anche affetto da una malattia curabile solo con farmaci chimici “perché più potenti”. Se non avesse visto, miglioramento alcuno, avrebbe potuto portare via il bimbo in qualsiasi momento. La madre accetta perché non sopporta più i lamenti del piccolo; già in poche ore la terapia riesce a calmare il bimbo che si addormenta. A mio avviso l'intervento ha raggiunto il suo scopo : l'accettazione da parte di Lourdes delle cure,ma da questa esperienza lei saprà solo vedere oggettivamente i risultati positivi chel'azione medica ha prodotto anche se non comprenderà cosa sia stato realmente fatto e perché.

martedì 15 settembre 2009

La narrazione come chiave interpretativa per una reale comprensione della malattia

Gli studi narrativi di B. Good, definiscono una nuova riproblematicizzazione della relazione tra culture ed esperienza:“Noi non abbiamo accesso diretto all'esperienza degli altri..... (omissis) Ma impariamo molto di più dall'esperienza altrui, ascoltando i racconti di quanto è accaduto loro o intorno a loro. La narrazione è una forma in cui l'esperienza viene rappresentata e raccontata, in cui l'attività e gli eventi sono rappresentati in un ordine significativo e coerente, dove le attività e gli eventi sono descritti insieme alle esperienze che li accompagnano....(omissis). Nuove domande daranno vita sempre a nuove riflessioni sulle esperienze soggettive ed ognuno di noi potrà sempre descrivere un evento con un'ottica un po' diversa, collocando il racconto in un nuovo contesto e rivelando nuove dimensioni dell'esperienza”. Pertanto Good, afferma come sia importante prestare attenzione alle narrazioni della malattia, in quanto al loro interno vi si può trovare tutto ciò che è necessario sapere:“La malattia (disease), per come viene rappresentata dalla biomedicina, è localizzata nel corpo. Le narrazioni di coloro che sono soggetti alla sofferenza rappresentano al contrario la malattia come radicata nella vita. La malattia è fondata nella storicità umana, nella temporalità dei singoli, delle famiglie, della comunità.... (omissis)... è la malattia presente nell'immaginazione e nell'esperienza, ed è costituita con l'apertura al mutamento ed alla guarigione”.Nella mia esperienza ho analizzato l'importanza di un attento ascolto alle narrazioni dei pazienti che offrono un mondo di significati , non giudicabili in una visione etnocentrica della malattia, ma raccolti in una visione interculturale. Ogni simbolo infatti è il riflesso di una cultura sottostante ed è comprensibile solo attraverso una conoscenza antropologica omnicomprensiva rispettosa dell'uomo e di ogni sua espressione.

La malattia un mondo di significati costruiti culturalmente

L'antropologia medica analizza la malattia utilizzando categorizzazioni quali: disease, illness, sickness offrendoci angolazioni differenti per comprendere in profondità il significato attribuito. Come ho raccontato nelle storie di pazienti ,questo significato cambia e viene costruito culturalmente . La disease identifica la malattia da un punto di vista prettamente oggettivo, attraverso una diagnosi medica, mediante l'analisi del funzionamento dei processi biologici e psicologici. L'illness rappresenta l'esperienza ed il significato attribuito alla malattia ad un livello personale e sociale; comprende i processi cognitivi di attenzione, rielaborazione,manifesta risposte affettive, emozioni, comunicazione ed interazione interpersonale all'interno della famiglia e della rete sociale. Infatti, si è dimostrato come la comunicazione sia un fattore primario nel determinare l'adesione del paziente alla cura, mentre quando manca il riconoscimento e la comprensione delle influenze culturali sulla comunicazione clinica, nascano problemi nella presa in carico del paziente (Harwood, 1971).La sickness è la reazione personale, sociale, culturale alla disease. Rappresenta, infatti, il ruolo sociale del malato formalizzato dall'atto della diagnosi (Pandolfi M., 1986), il comportamento del malato riconosciuto socialmente (Young A., 1978), il processo attraverso cui vengono assegnati dei significati socialmente riconosciuti a dei segni biologici e comportamentali, cioè è una forma per socializzare la disease e l'illness. (Young A., 1982). Solo attraverso una visione olistica dell' uomo si puo' arrivare, anche in campo medico ,ad una vera comprensione di cio' che affligge il paziente non identificando ogni manifestazione patologica come una espressione puramente biologica , ma come espressione di un mondo storico -culturale e sociale appartenente al paziente stesso

L'ANTROPOLOGIA MEDICA: UNA NUOVA FORMA DI ANALISI DELLA REALTÀ

Verso la fine degli anni 70, Arthur Kleinman professore di antropologia medica e cross-culturali in psichiatria dell'Università di Harvard, afferma che:
ll sistema medico è anch'esso un sistema culturale".Questa rivoluzione concettuale porta ad affermare, inoltre, che i sistemi medici vengono definiti come:
Insiemi di credenze e conoscenze di pratiche e tecnologie, dirette a favorire la salute e
ad alleviare la malattia, cercando di comprenderne il significato, partendo dall'idea
che la malattia non sia solamente un concetto biologico ma un concetto culturale( A. Young 1978),.
La definizione, infatti, attraverso cui il malato cerca di descrivere la malattia che
lo affligge, è sempre una categoria culturale che riflette un particolare contesto storico e
sociale; attraverso quella definizione - secondo Kleinman A. (1980):
I sintomi vengono socialmente costruiti; proprio per questo, la malattia può essere
codificata soltanto in quel contesto specifico di norme, di significati simbolici, e di
interazione sociale”.
Attraverso quest'approccio, dove si enfatizzano le determinanti socio-culturali, si
può parlare della malattia utilizzando 3 nozioni: disease, illness, sickness (Fabrega H.,
1972 – Young A., 1982 – Kleinman A., 1980)

lunedì 14 settembre 2009

L'efficacia simbolica o effetto placebo

Levi Strauss (antropologo che ha compiuto numerose ricerche etnografiche sulle popolazioni indigene del Sud America) propone “l'efficacia simbolica” come parametro per una coerente analisi dei sistemi tradizionali di cura. Egli afferma che:“L'efficacia simbolica mira a rendere accettabile alla mente dolori che il corpo si rifiuta di tollerare. Che la mitologia dello sciamano non corrisponda ad una realtà oggettiva, è un fatto privo di importanza. La malata ci crede ed è un membro di una società che ci crede. Gli spiriti protettori e gli spiriti maligni, i mostri soprannaturali egli animali magici, fanno parte di un sistema coerente, che fonda la condizione indigena dell'universo; l'ammalata li accetta e non li hai mai messi in dubbio. Quel che non accetta, sono i dolori incoerenti e arbitrari che costituiscono un elemento estraneo al suo sistema ma che, grazie al ricorso al mito, vengono sostituiti dallo sciamano in un insieme in cui tutto ha ragione d'essere”. La questione dell'efficacia supera di gran lunga la dimensione terapeutica, collocandosi in piani più complessi. Non ha come primario obiettivo il raggiungimento di un successo terapeutico ma si colloca su piani più estesi e complessi che riguardano l'esperienza culturale, sociale ed esistenziale di ogni soggetto, mirando ad identificarsi come“risposta simbolica". Da un punto di vista scientifico, oggi viene studiato "l'effetto placebo” che produce reali e scientificamente provati effetti positivi nel paziente. Per la maggior parte degli studiosi, infatti, è riconosciuto come manifestazione di efficacia di una medicina popolare che,utilizzando pratiche lontane dall'approccio medico, riesce anch'essa a raggiungere i suoi obiettivi di cura. Queste sostanze, che spesso accompagnano i riti sacri o di guarigione, hanno una forte carica simbolica e, anche se fossero solamente medicamenti poco efficaci, ricevuti in perfetta buona fede, sono dotati di una forza valoriale agli occhi dell'individuo e della comunità. Il farmaco placebo possiede un'efficacia che è “attesa”; pertanto diventa carico di significato, oggetto investito di potere terapeutico, che assume anche una funzione figurativa; il rito, un tamburo, un frasario religioso, funzionano a livello medico come l'acqua zuccherata o un'incisione cutanea. Il potere ed il valore terapeutico sono realmente efficaci, tanto nelle società tradizionali quanto in quelle occidentali, dove per esempio si è accertato che il 45% di tutti i medicinali in uso è costituito da sostanze incapaci di avere un effetto diretto sulle malattie per le quali sono prescritti. L'effetto placebo di molti rituali medici-sciamanici, produrrebbe quindi nel credente dei cambiamenti biochimici,operati da preghiera, canti, danze, nonché rituali che porterebbero ad una guarigione:tutto ciò spiegherebbe l'esistenza di una compenetrazione tra psiche e soma ancor'oggi in gran parte sconosciuta .

un paziente di nome Andres.....................

PARTE SECONDA: Dopo circa un mese, viene nuovamente ricoverato dal figlio, il quale mi racconta che all'inizio Andres ha seguito le direttive del medico (soprattutto per quanto riguarda l'assunzione del farmaco), ma sentendosi bene, ha continuato la vita come prima; poi il paziente mi dice: “Ho capito che il mio pancreas è davvero malato: non è guarito e forse non guarirà mai”. Si nota l'accettazione del concetto di “malattia cronica”, cioè malattia con cui dovrà imparare a convivere. Infatti, attraverso le sue categorie, la malattia o è guaribile o è mortale. Egli continua nel racconto, dicendo: “Ero andato dal curandero perchè non urinavo più: mi ha dato un remedio naturale, la “cola de cavallo”, che aveva fatto effetto. Poi ho sentito che il mio cuore batteva forte ed il curandero mi ha dato un altro remedio. Infine, continuavo a sudare ed il curandero mi ha dato un terzo remedio refrescante”.Nell'analisi riflessiva, Andres giunge a concludere che tutti i rimedi funzionavano, però il problema rimaneva: “Era come se, in un campo infestato da formiche, mi preoccupassi che la frutta maturasse bene, senza preoccuparmi però delle formiche”. Per aiutarlo, ho trasformato il contenuto del foglietto informativo del Ministerio, de Salud Publica, in una storia, creando un personaggio paraguaiano, di nome “Yiyo”: ne descrivevo una giornata tipo, fatta di lavoro, svago, pranzo e cena con la famiglia; tracciandone la dieta tipo, l'ora della pastiglia, la siesta del “mate”, e i momenti in cui raccontava alla famiglia il suo percorso curativo, come testimonianza.Il mio scopo era che l'adesione alle cure risultasse un processo non individuale ma collettivo, attribuendo alla cura una valenza simbolica per tutta la comunità, Andres inizia a mostrare maggiore interesse a curarsi. Infatti, nei giorni successivi mi dice: “Sai che la mia famiglia mi ha fatto molte domande? Sai che sono riuscito a comportarmi come Yiyo? Ma Yiyo esiste davvero?”.L'esperienza del paziente, diventa condivisibile con un intero gruppo: pertanto acquista valore. Il soggetto, infatti, è il riflesso di un'identità insita nel gruppo; quindi, tutto ciò che è nuovo, deve trovare posto all'interno di questo sistema. Anche Yiyo, personaggio immaginario, attraverso la narrazione, diventa reale ed un esempio da seguire. Nel tempo, Andres diventa esperto della malattia: a volte, scherzando, si fa chiamare“señor diabetis”; ciò che è stato di fondamentale importanza è però l'aver reso la sua esperienza inseribile nei valori storico-sociali e culturali del gruppo. Infatti, alcuni componenti della comunità, attraverso il testimonio di Andres, hanno avuto la forza di presentarsi al Centro Medico.Non sono riuscita a chiarire con il paziente le cause della malattia, in quanto la sua forma di vedere il mondo si riduce ad una semplice comprensione dell'evento, senza interrogarsi rispetto alla causa dello stesso. Tale modo di pensare (causa=effetto) è tipico solamente dei paesi occidentali. Neppure il concetto che un alimento causi effetti negativi, è accettabile: ciò che viene compreso è che l'organo malato non può più ricevere determinate sostanze; pertanto il problema risulta essere l'organo e non il cibo. Il fatto di aver collocato Andres protagonista della sua malattia e gestore diretto della sua cura, anche se all'inizio ha trovato molte resistenze, ha dato il via ad un processo, che porterà il paziente stesso ad una ricerca di molteplici ed ulteriori risposte.

un paziente di nome Andres.....................

PARTE PRIMA Il signor Andres, vedovo di 53 anni, proveniente da Caaguazù (una cittadina vicina al centro), proprietario di un “almacèn” (dispensa), viene accompagnato dal figlio presso il“Centro di salute”.Visitato dal medico, egli presenta chiari sintomi e segni di crisi ipoglicemica. Pertanto,viene ricoverato alcuni giorni per essere sottoposto a terapia adeguata, per il ripristino nella norma dei valori glicemici. Il medico nel dimetterlo, oltre alla prescrizione farmacologica, gli comunica di aver riscontrato un diabete di tipo “II°”, consegnandogli un foglio illustrativo che spiega - in castellano - attraverso immagini a fumetto, cosa sia la malattia: quali ne siano le sue cause, come il paziente dovrà curarsi, come identificare un'ulteriore crisi. Il paziente, parlando di sé, mi racconta innanzitutto la sua età, sottolineando il fatto di essere vecchio e quindi come sia normale ammalarsi. Pertanto, identifica come causa della sua malattia, l'età. Mi dice che suo padre, già a 40 anni, aveva dolori alla schiena, non urinava bene: era già vecchio, insomma. Che suo fratello, di 60 anni, è cieco e sua sorella, che ha 44 anni e madre di 12 figli, è “agotada” (senza più forza).La causa di tutti questi mali, secondo il suo parere, è la vecchiaia. Pertanto, alla vista del foglietto illustrativo, lo legge, ma non ne capisce i contenuti. Così, insieme, iniziamo ad analizzare ogni punto del prospetto informativo: cosa sia il diabete, e che cosa - soprattutto– rappresenta per Andres il diabete. La malattia è caratterizzata dall'incapacità del pancreas di produrre insulina, che causa quindi un'alta presenza di glucosio nel sangue, che non viene assorbito. Di conseguenza, organi come occhi, arti, reni, potrebbero soffrirne, provocando manifestazioni come: cecità, mutilazioni per cangrena o problemi renali gravi. Il paziente pare non intendere bene tale cosa; inoltre, introducendo anche il concetto di dieta (cioè riduzione e controllo di certi alimenti), il problema si allarga. Mi domanda: “Se la malattia è il diabete,quale è la cura intesa come “remedio”? Come può tornare a funzionare il pancreas? Perchè, se ammalato, sicuramente il dottore, saprà guarirmi. Verrò più spesso ed il dottore mi dirà se sono guarito”.Infatti, Andres intende la cura come semplice utilizzo di un medicamento; considera il medico come soggetto attivo al ripristino della propria salute; mentre il paziente viene definito come dipendente, ignorante, impossibilitato ad una partecipazione attiva. Non esiste nel suo mondo rappresentativo il concetto di “autocura”, praticata attraverso il controllo del cibo, la conoscenza del proprio corpo e l'individuazione dei sintomi riferibili alla malattia. Egli pretende che sia il medico a definirlo “malato” o “guarito”, perchè lui non sente nulla nel suo corpo. Pertanto non riesce ad identificare la manifestazione della malattia, e dice: “Il dottore dice che sono ammalato da tempo, ma io mai ho sentito la malattia, problemi, dolori o stanchezza... Solo in quel giorno, quando mi sono accasciato, sentendomi confuso e non riuscendo più a vedere bene”.Un altro problema sorge dal fatto che non viene accettato il concetto che il cibo possa essere causa di malattia: “Il mio modo di alimentarmi è questo, e sempre sono statobene: il grasso del maiale, lo zucchero, il fritto, sono “alimentos” cioè producono forza per lavorare e per tutti è sempre stato così; non ho mai visto che lo zucchero abbia creato problemi a nessuno! Neppure mio padre mi hai raccontato nulla del genere! Mangiar carne di yacarè o yaguaretè, può essere! Ma lo zucchero?!”.Causa la sua incapacità di comprendere, lascia il centro arrabbiato, dicendo: “Sapete trattarmi solo da indio, perchè non capisco, ma io capisco bene e vi dico che non è così!”.

Alcune pratiche mediche della medicina indigena.....................


Gli indios attribuivano al “vento del sud” la causa di molte malattie quali il morbillo, la varicella, il raffreddore, ed analizzandone la direzione (se cioè procedeva da sud o da nord), essi identificavano quale fosse la malattia. Infatti proteggevano i loro corpi con coperte, credendo che potessero essere un riparo per difendersi dal “colpo divento”; utilizzavano zolfo nella zona dolorante. Ancora oggi si utilizza una sigaretta accesa, credendo che possa, posizionata sulla parte malata, assorbirne il dolore cioè eliminare l'aria che vi è entrata. Si utilizza anche un cucchiaio di legno che si riscalda sul fuoco e (quando è caldo) si posiziona sulla parte dolorante. Questo, credendo che il legno riesca ad aspirare il “colpo di vento” che ha offeso la parte stessa. Il “pyarurù” (sintomi: febbre, inappetenza, sete, dolore allo stomaco) viene trattato con l'utilizzo di foglie di tartago, che si devono bagnare con la saliva e da posizionare sulla zona malata: si crede che questa foglia possa assorbire la febbre interna, causa di questa malattia. Si possono usare anche: foglie di aloe, collocandole aperte nella zona malata, oppure il maiale (esclusivamente il grasso della pancia), ricoprendo poi questo grasso con foglie di tartago ed utilizzando l'impacco sopra la parte.Per il “pyaracù” (o “stomaco caldo”), il trattamento prevede l'uso di erbe rinfrescanti, tipo “uña de gato (o “mbaracayà pysapè”), o “foglia di cocù (“ocaarurupè”). Queste erbe devono essere utilizzate prima delle ore 12.00, in quanto nel pomeriggio l'effetto delle erbe potrebbe essere negativo. Per problemi renali, è considerato buono il “yaguà rovà” e anche il “mandy yuì”, erbe da utilizzarsi in infusione. L'”ojeo” è un dolore fortissimo che prende il bambino neonato, deformandone il cranio: la causa è associata all'influsso negativo di una persona che lo ha contaminato con la sua malvagità.“Pata de cabra”: il bambino non dorme, inarca la schiena, gettando la testa all'indietro, non mangia e piange continuamente. Il curandero, alza la pelle pizzicando singolarmente ogni vertebra della spina dorsale, facendo più volte il segno della croce. Tale rito viene eseguito per 7 giorni consecutivi . Per l'”orzuelo” (orzaiolo) si prende un anello d'oro, si riscalda sfregandolo con le mani e quando è caldo, si appoggia nella zona malata. Un'altra forma di guarire dall'“orzuelo” è salutare una vedova (se colui che è malato è uomo); se invece il malato è donna, mandare un saluto al vedovo. Per morsi di serpente (picadura de serpiente) si taglia una cipolla, utilizzandola sulla parte che presenta il morso: quando la cipolla diventa verde, bisognerà levarla e sostituirla con un'altra. Il cambio di colore avviene in virtù dell'assorbimento del veleno. Questi metodi curativi sono tramandati oralmente. Secondo la mia esperienza, la popolazione locale non racconta facilmente le sue credenze. Vi è ancora una certa timidezza o diffidenza nel timore che possa crearsi un conflitto tra pratiche e valori, riflesso del loro mondo culturale.

breve rassegna storico-culturale del Paraguay


L'identificarsi paraguaiano risulta , in lingua guarani (idioma ufficiale della Repubblica del Paraguay ) il sentirsi fortemente parte di un nandeva cioè di un noi collettivo,"noi insieme", che è in contrasto con oreva cioe' un "noi che esclude". Si pensa che la popolazione sia costituita solo da indigeni per il fatto che gran parte del popolo parli l'idioma guarani invece è necessario precisare che, anche se la maggior parte dei paraguaiani parla la lingua indigena, la stessa non e' considerata idioma degli indios guarani , bensi' lingua campesina. Infatti la dimensione simbolica, che storicamente ha avuto importanza nell'affermazione di una identità nazionale, è l'identificarsi come "campesinos". Pertanto è frequente l 'ascoltare alti funzionari di stato valorizzare, con insistenza, la proprio condizione o la propria eredità campesina.Questa consuetudine sociale è la manifestazione inequivocabile, di una fortissima identità nazionale; l'essere biondo con carnagione chiara e il non parlare guarani identificano persone non parte di quel nandeva cioè di quel noi includente. L'americano Julian Stewart nel 1954, infatti, affermava che la cultura degli
agricoltori “campesinos” non è il guarani; infatti la cultura rivela solo un''influenza superficiale della lingua “guarani”; anche i coniugi americani Service nel 1954, hanno sostenuto la stessa
tesi: cioè che la cultura dei paraguaiani (principalmente dei “campesinos”, in
particolare della zona centrale del paese) è una cultura interamente ispanica, nonostante
l'uso della lingua guarani. Già dall'anno 2000 è iniziato un veloce processo di ibridazione culturale, dove già non esistono frontiere, dove i limiti di questo “ñandeva” e “oreva” sono sempre più difficili da identificare. Infatti, non esistono più identità chiuse e frontiere culturali definite.
assistiamo difatti ad una forma velocizzata di “meticciato culturale.

domenica 13 settembre 2009

la mia esperienza in Paraguay(riflessioni finali)

E' difficile modificare il credo popolare tramandato e confermato da varie esperienze familiari e comunitarie.

Ciò che il paziente riporta come "conoscenza della sua malattia" risulta essere un insieme di esperienze di una intera comunità. Pertanto ho raccolto semplicemente ogni descrizione di ciò che viene definito come patologico senza mettere in discussione nulla.

Dopo questa prima fase, dove ho conosciuto il contesto culturale, il malato come persona di quella comunità ed infine sono riuscita a far accettare la mia presenza, sono passata alla fase successiva dove ho provato ad intervenire, utilizzando come strumento la narrazione. Accanto alle loro storie di malattie e cure, ho inserito racconti di persone da me create, che avevano trovato giovamento (per esempio, modificando quell’alimento nella dieta) oppure cominciando ad osservare i segni del loro corpo (sudorazione immotivata, mani bluastre, tachicardia improvvisa) oppure che avevano assunto un farmaco per dieci anni…. Ed avevano trovato giovamento. In seguito, quando i pazienti ritornavano incuriositi ed interessati nel provare una strada alternativa, ho formato dei piccoli gruppi di pazienti (affetti dalla stessa malattia) che – attraverso riunioni settimanali – confrontavano le loro esperienze. Per esempio, riguardo al diabete, rapidamente hanno associato la scomparsa di crisi iperglicemiche alla riduzione dello zucchero semplice.
Utile è stato lavorare in gruppo perché è molto sentito il valore comunitario e la narrazione ha raggiunto l’obiettivo di presentare qualcosa di nuovo in forma delicata (e perciò accettabile).

E’ STATA UNA ESPERIENZA POSITIVA, PERCHE’ HO SPERIMENTATO COSA SIA UNA RELAZIONE EDUCATIVA E QUANTO PIU’ DIFFICILE SIA INSTAURARLA CON PERSONE DI MONDI DIFFERENTI….

L’antropologia culturale mi ha fornito delle valide chiavi di lettura, la pedagogia mi ha aiutato ad avvicinarmi a piccoli passi e le conoscenze mediche sono state il contenuto che ho cercato di introdurre attraverso un lavoro con le persone, parti di quel mondo culturale.

la mia esperienza in Paraguay(seconda parte)


Dopo un breve periodo osservativo, mi è stata assegnata una stanza dove accoglievo i pazienti, che raccontavano come procedere la terapia, come si sentivano fisicamente, quali erano i loro dubbi e le loro paure. La maggior parte dei pazienti che frequentano la clinica sono affetti da malattie croniche (quali il diabete, l'ipertenzione, l'arteriosclerosi) e patologie degenerative(quali le demenze e le neoplasie all'utero, all'intestino); infine per la malattia acuta, la clinica offre il trasporto all'ospedale, affiancando al paziente un infermiere e contribuendo a pagare le cure mediche (in Paraguay ogni attenzione medica è a pagamento).

Avendo vissuto presso la comunità per 7 anni, molti pazienti già mi conoscevano; pertanto, superata la timidezza iniziale, facilmente riuscivo ad instaurare una relazione.

Mentre descrivevano il loro vissuto, vedevo che temevano un mio giudizio da occidentale oppure - peggio - una mia critica che potesse sradicare con violenza le loro certezze. Mostrandomi invece interessata e desiderosa di imparare cose nuove, che potessero arricchire il mio studio, i pazienti si aprivano con fiducia.

In primo luogo ho notato che il medico è percepito come una figura infallibile, anzi, il depositario di tutta la conoscenza e pertanto deve avere una risposta per qualsiasi problema. Se è un bravo medico, la cura prescritta deve soluzionare il problema rapidamente. Una cura prolungata troppo nel tempo risulta essere inefficace perchè il paziente perde la fiducia sia della terapia prescritta sia della competenza del medico (perchè non ha ancora accettato, nel suo immaginario, che ci siano malattie non guaribili e che non hanno una morte immediata).

Durante il colloquio con il medico, il paziente non domanda nulla perchè ritiene di non sapere nulla, neppure sul dolore che avverte egli stesso. Il suo racconto a volte è confuso; pertanto è difficile comprendere il suo reale problema. Il "remedio giuggio" - o farmaco naturale - è usato sempre anche in associazione alla terapia e a volte si teme questa combinazione; pertanto il naturopata ed il medico lavorano assieme per correggere delle associazioni chimiche, che sarebbero dannose.

Il farmaco chimico è associato al medico occidentale ed è considerato magico, perchè ha il potere di risolvere subito igni problema. Infatti il paziente crede che, assunta la terapia prescritta in modo adeguato, si arriverà per magia alla sanità completa. Non avvertendo pià dolori acuto, il paziente crede di essere guarito; pertanto, terminato il farmaco, non ritorna dal medico nè per una visita di controllo nè per continuare la cura farmacologica.

Ricomparsi i dolori o i vari sintomi, il paziente non capisce perchè deve ricominciare l'assunzione della terapia o meglio perchè il problema è riapparso. Per comprendere meglio il sentire di ogni paziente, ho ascoltato anche come segni e sintomi patologici siano associati ad altri quadri clinici. L'ansia, per esempio, non viene percepita come stato emotivo associato ad un particolare evento, ma come segno di un grave scompenso cardiaco. Pertanto il paziente è convinto di morire: si dispera, nulla lo conforta; somministrato un calmante, tutto passa, ma il paziente è convinto di aver assunto un farmaco per il suo "cuore impazzito". Ogni malattia è originata da un cambio improvviso della temperatura corporea. Ad esempio:

- i piedi caldi o sudati, perderanno la sensibilità o la forza se immersi in acqua fredda;

- il corpo accaldato, se raffreddato velocemente, subirà uno stress chiamato frialdad, che causerà dolori fortissimi. L'unica soluzione è somministrare un rimedio caldo (es. frizionando la parte con alcool), coprendo poi con giornali

- l'epatite A è conosciuta come PYARURU definita "infermità dello stomaco", causata da una febbre interna; il paziente deve bere rimedi "rinfrescanti": se non adeguatamente curato avrà laTIRIZIA (occhi gialli, pelle gialla); la cura prescritta è un succo di formiche rosse essiccate

- la PAMADURA è un dolore alle ossa delle mani quando (calde) vengono immerse in acqua (fredda); il braccio si indurisce ed il paziente lamenta dolori insopportabili; se non curato con applicazioni calde di alcool, l'arto perderà la forza, le mani tremeranno e la "pamadura" si trasformerà in REUMA, che non avrà più soluzione. L'unica terapia, in questo caso, è l'applicazione di urina di una persona che abbia metà degli anni del paziente

- l'OHEO è un dolore fortissimo che colpisce il cranio di un neonato, deformandolo; la causa è associato all'influsso negativo di una persona che ha visto il bimbo e che lo ha contaminato con la sua malvagità. Si utilizza olio caldo per lenire il dolore, ma il neonato avrà la testa sproporzionata rispetto al corpo

- il PYAKYA è causato da un abuso di cibo e provoca macchie sul viso.

Le malattie neoplastiche sono causate dalla "frialdad" (l'esposizione di una parte calda del corpo al freddo) non curata o da un forte colpo ricevuto e non trattato.

Riguardo alla dieta alimentare, è difficile modificarla. Vengono considerati alimenti fondamentali la carne, il grasso, la polenta, la farina fritta e sono assunti diariamente perchè considerati gli unici che forniscono energia per sostenere i lavori pesanti.

giovedì 10 settembre 2009

la medicina tradizionale

L'OMS come medicine tradizionali tutte quelle "diverse pratiche sanitarie,gli approcci,conoscenze e credenze che prevedono l'uso di medicamenti a base di piante ,animali e/o minerali; terapie spirituali,tecniche manuali ed attivita'che vengono utilizzate singolarmente o in collaborazione , al fine di mantenere il benessere, curare, diagnosticare o prevenire la malattia. Oggi i sistemi tradizionali sono considerati fondamentali nel contribuire al mantenimento dello stato di salute, perche' promuovono l'uso di terapie popolari, all'interno dei servizi nazionali, offrendo alternative terapeutiche ad una medicina convenzionale ancora inaccessibile per costi, e che manifesta una presenza ridotta sul territorio. Ormai l'80% degli abitanti del pianeta ricorre alla medicina tradizionale; circa 3,5 miliardi di persone non sono fruitori della biomedicina ...ad esempio in America Latina l'uso di piante da parte di sciamani o curandero e' una pratica radicata nel tessuto sociale ed e' utilizzata affiancando il farmaco chimico. Bartoli e Falteri affermano :“Gli ambiti di pertinenza della medicina popolare sono assai più ampi della prevenzione e cura degli stati morbosi, perchè salute e malattia appaiono iscritte entro il quadro delle forze positive e negative che agiscono sull'uomo, sulle cose e sulla natura. In questo quadro, il destino del corpo è intimamente collegato agli orientamenti
di personalità ed agli schemi di comportamento dell'individuo, nonché alla rete dei rapporti interpersonali in cui si colloca ed è perciò che la medicina popolare, intesa come l'insieme delle credenze e pratiche orientate alla tutela o al ripristino dell'integrità psicofisica dell'individuo, si colloca entro una rete di schemi culturali più vasti. Ogni cultura partendo dalla percezione dell'anatomia, fisiologia e biologia elabora i propri saperi, li trasmette, li riflette sul mondo quotidiano come simbolizzazioni; pertanto il corpo, la salute e la malattia sono concetti che riflettono un modello globale di persona fatto di anima e corpo pertanto la medicina popolare e' un'immensa enciclopedia di simboli, saperi e pratiche impossibili da comprendere senza un collegamento culturale e sociale.

il caso di una paziente............MORENI'


Presentero' un caso di una paziente paraguayana per dimostrare che anche la malattia e' un artefatto culturale comprensibile solo nella cultura di riferimento.
La signora Moreni' ,anni 30,ha 6 figli ;vive sola...il marito li ha abbandonati 4 anni fa.
Arriva al Centro de Salud accusando dolori al petto dicendo:"il mio cuore si lamenta ,mi produce dolore,il mio cuore e' stanco,si fermera'.Lei e' indios e parla solo guaranied e' completamente analfabeta.Non si esprime parlando di se' stessa ,non utilizza alcuna forma autoreferenziale come "io penso ,io sento, io dico".Non parla del marito che li ha abbandonati,anche perche' in Paraguay e' normale l'abbandono della famiglia da parte del maschio e le donne non rivendicano nulla .....sembra il fatto, ormai socialmente accettato.Racconta che il curandero le ha dato un amuleto il "paye'"come difesa dallo spirito,e una yerba del bosque per aiutarla nei dolori; il dolore e' diminuito ma persiste percio' si e' decisa di rivolgersi al medico.Dopo alcune indagini diagnostiche, il dottore le dice che gli esami sono perfetti :"è solo ansia".La paziente non capisce cosa sia e chiede dove si trova.La dimensione psicologica e affettiva hanno categorie simboliche differenti.Infatti l'ansia non e' per lei identificabile come stato interiore ma come malattia localizzata nel corpo dovuta a cause che coinvolgono simboli di una intera comunita'.Accetta la medicina data dal dottore non come aiuto all'ansia ,ma come farmaco chimico occidentale che possa eliminare la sua malattia che chiama susto(spavento)...."il mio cuore e' malato per colpa del susto...........il remedio del dottore me lo allontanerà".